The constant gardener


Justin è un tranquillo diplomatico inglese distaccato nell'Africa sub-sahariana, la cui più pressante occupazione è di coltivare le sue piante rare, fino al giorno in cui non uccidono Tessa, la sua giovane e bella moglie che non sapeva stare zitta. Dopo un matrimonio-lampo, Tessa lo aveva seguito in Kenya e cominciava ad interessarsi alle aziende farmaceutiche e ai loro trials più o meno limpidi, condotti sulla popolazione indigena che non ha altre possibilità di accedere alle cure.
Lo spunto è buono, e molto interessante; inoltre il regista aveva a disposizione un ottimo cast, da R. Fiennes a B. Nighy a R. Weisz, che ha preso Oscar e Golden Globe per la sua performance. Le Carrè, autore del romanzo, si era vagamente ispirato ad una vicenda rimasta nebulosa che aveva per protagonista una notissima azienda farmaceutica (la più florida al mondo, credo, grazie anche a certe losanghine color puffo), ma nel film non si capisce mai se stiamo guardando un thriller, un film di denuncia o un documentario. Per parlare di un argomento del genere, più che Le Carré, ci vorrebbe Saviano: uno che rinunci alla sua vita personale per scrivere un reportage, esplicitando nomi, date, dati, facce, luoghi, e ci indichi cosa è realtà e cosa leggenda
Qui invece il sentimento di verità e presa diretta della realtà è affidato più che altro all'uso perpetuo della camera a mano, con il risultato di farmi venire una bella cefalea con tanto di nausea. Ma lo volete capire che questa roba che sballonzola come i traghetti fluviali è orribile? In più, perpetrata per oltre due ore, è praticamente un crimine contro l'estetica (ciò che da alcuni è erroneamente percepito come "fedeltà al reale"). 
Infine, ultima nota dissonante, è il non aver affatto approcciato la complessità della situazione: se da un lato è giusto denunciare lo sfruttamento di popolazioni poverissime a analfabete quali "cavie" umane, è pur vero che i trial condotti in zone disagiate permettono di far arrivare qui dei farmaci che queste popolazioni non si sarebbero mai potuti permettere: orribile compromesso, ma ancora spesso sola possibilità di tanti sfortunati.
Grazie pero' per aver resistito alla tentazione onnipresente di dipingere la solita Africa da cartolina, con qualche romantico tramonto su verdi praterie.

Commenti

  1. I difetti che tu giustamente noti nel film sono presenti anche nel romanzo: lento, nebuloso e deprimente
    dispiace dirlo, ma Le Carré non ha scritto niente di veramente bello dal 1989 (THE RUSSIA HOUSE)

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