The Spellman Files


Tra Oblomov e il mio prossimo romanzo "corposo" volevo inserire una lettura leggera e mi sono buttata su un titolo di un'autrice ancora poco nota da noi, tal Lisa Lutz, che veniva pubblicizzata in quarta di copertina da Lauren Weisberger (Il Diavolo Veste Prada, per intenderci). E' questo un metodo che uso spesso e volentieri, ovvero sfruttare il consiglio di un autore/autrice che ci piace per scoprirne un altro/altra che ci piacerà. Per inciso, di solito funziona piuttosto bene, soprattutto con quegli autori che sono prodighi di idee e di nomi altrui (esempio tipico: T. Capote -> W. Cather, T. Williams, N. Mailer, H. Lee e C. Mc Cullers, ognuno dei quali avrebbe avuto poche possibilità di arrivare nelle mie mani se non fosse stato per il caro Truman; su un'altra categoria, ma pur sempre piacevoli: S. Meyer -> J. Evanovich, MA. Shaffer). Qui, invece...
Izzie Spellman fa l'investigatrice privata praticamente da sempre, essendo nata da due "Occhi Privati" e abituata fin dalla più tenera infanzia ai pedinamenti, agli inseguimenti in auto, alle ricerche estensive delle fedine penali e non e all'essenza del mestiere, ovvero ficcanasare ovunque negli affari di chiunque, in particolare dei membri della famiglia. Stiamo parlando in particolare di mamma Olivia e papà Alfred, ex poliziotto, di David il fratello perfetto che sceglie presto di uscire dal giro e diventare un avvocato ben pagato, di Ray, lo zio beone e giocatore e Rae, la sorellina anche troppo dotata per gli affari di famiglia.
Il libro non è mal scritto, a parte quell'odiosa, recente mania di usare il presente dell'indicativo (di cui mi sono già da poco lamentata), ma la struttura di fondo, che parte in medias res e mescola digressioni retrospettive/esplicative con la prosecuzione dell'azione non è ben gestita -benché sia interessante e, a mio avviso, potrebbe dare dei risultati più che buoni in mani più abili.
I personaggi sono divertenti, ben delineati e disegnati per affezionarcisi, ma qualcosa non convince fino in fondo. Il racconto non è abbastanza assurdo per diventare una specie di fumetto dialogato (come i romanzi di Stephanie Plum, che mi fanno ridere a crepapelle e sono assolutamente inverosimili), ma non è neppure abbastanza credibile per creare un'atmosfera, come la vediamo nei libri della Weisberger. Insomma, carino, ma Plum batte Spellman di parecchie lunghezze, anche nella rapresentazione parodistica di una certa America Profonda: se Evanovich sembra ricordare con ironia la Newark di P. Roth e l'umorismo di Waugh (lo so che è inglese, ma Il Caro estinto è ambientato negli States!), non mi sembra di intravvedere ancora nulla di simile nella produzione della Lutz.

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