Nel paese delle creature selvagge


Max è un bambino irritabile, cresciuto da una madre semidisperata e da una sorella indifferente. Dopo una lite familiare, scappa per approdare ad una strana terra abitata da grandi esseri pelosi, pupazzi simili ad enormi ornitorinchi e incroci di animali a quattro e due zampe. Raccontando un cumulo di bugie, si fa proclamare re di questa terra oscura, dove ci si morde per gioco, si distruggono villaggi in raptus di collera, non si segue la strada della razionalità ma solo dell’istinto più crudo. Stringe presto amicizia col più impulsivo dei mostri, suo perfetto alter ego, Carol, che coltiva il sogno di fondare una città dove tutti siano davvero uniti, ma è intralciato dal suo carattere difficile e volatile.
La grande particolarità di questo film è di mostrarci un’infanzia che si vede poco, ma è incredibilmente vera sul piano onirico. Come ci hanno insegnato Sant’Agostino e W. Golding, i bambini non sono angioletti candidi e Dave Eggers, promettente giovane scrittore, ce ne dipinge l’immaginario feroce. Feroce è la gioia nell’infanzia, l’ira è feroce, feroce il disincanto. Scenari euripidei si nascondono nella fantasia degli infanti: giurerei che lì dove manchino, abbiamo buone ragioni di temere per un’età adulta problematica, non forgiata dal sottile orrore del sogno del fanciullo.
Quanto ai difetti, non si può nascondere che il film manchi di ritmo cinematografico, essendo troppo legato ad una cadenza da scrittura, e scrittura sperimentale; la colonna sonora è piuttosto debole, gli effetti speciali casalinghi. Vale una visione ma non una seconda.

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