Train de vie



“Perché sei diventato il matto?” “Eh, io volevo fare il rabbino, ma il posto era già occupato…” Il capolavoro di Radu Mihaileanu è ricchissimo di battute fulminanti e argute.
Quando Slojme sente delle persecuzioni antisemite ha un’idea geniale, folle, come solo un matto può sperare di averne: traslocare in Palestina con tutti i concittadini, imbarcandoli su un finto treno di deportati. Come diceva De André, dietro ogni scemo c’è un villaggio, e ogni componente di questo composito universo ci emoziona con le sue particolarità: il rabbino e suo figlio comunista, l’amministratore gastritico, la bella e antipatica e il sarto.
Travestiti alcuni compaesani da nazisti, il treno parte per un lungo viaggio della speranza, guidato da un macchinista improvvisato e dal desiderio di libertà e di dignità.
La tragedia è inevitabile, ma intrisa di quell’ironia yiddish che così acutamente elabora da secoli la tristezza e la malinconia di un popolo errante e ci ride su con delicatezza surreale e commosso affetto.
Perché raccontare il genocidio attraverso un lungo sogno? Perché questa forma onirica trasforma una nozione razionale in un engramma della nostra memoria personale invece che in una catena immobilizzante; la fiaba, il cui cuore gravita intorno alla domanda “che importa se esiste Dio, esiste l’uomo?” ci permette di rispondere che sì, esiste l’UOMO, tutto maiuscolo, che va accudito, curato, amato ogni giorno; la memoria ci permette di farlo, salendo –come è nostro disegno- sulle spalle dei giganti che hanno tentato un sogno prima di noi, anche quando sapevano di non poter riuscire.

Commenti

  1. Finalmente un ragionamento su di noi, piccoli, temporanei, passeggeri del pianeta, scritto con le capacità che con te si esprimono al massimo, e non parlo della gastrite...Un sogno, ne siamo pieni, sul letto, nei pensieri e in piazza. A volte però ci regalano chiavi in mano degli incubi, e noi a volte ci risvegliamo sudati, spaventati, ma perlomeno ci risvegliamo! Il sonno della ragione genera mostri, diceva uno...

    P.S. Che faccio, copio?

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