La guerra dei mondi

Di S.Spielberg, con T.Cruise, D.Fanning, T.Robbins. 2004, 117'

Ray Ferrier è un operaio specializzato con un matrimonio finito alla spalle e un rapporto teso con i suoi due figli: il diciottenne Robbie, indipendente e fondamentalmente buono, e la piccola Rachel, piena di fobie. Quando una tempesta magnetica si abbatte su New York, e giganti Tripodi sorgono dalle viscere della terra e cominciano ad abbattere ogni umano che si trovi nei pressi, Ray cerca di salvare i figli e di riportarli dalla madre. Ma ci sarà salvezza da qualche parte?

Diciamo subito che gli attori sono tutti bravissimi, e in particolare Cruise è spettacolare nel ruolo per lui inabituale del perdente cronico, la colonna sonora non è la migliore che Willias abbia prodotto e gli effetti speciali sono magici. Ora approfondiamo il posto che La guerra dei mondi occupa per me nella strabiliante carriera del suo papà Steven.

Senza dubbio il post-undici settembre e la costante paura di divenire oggetto di attacchi terroristici ha influenzato la realizzazione di questo film, ma esso deve anche molto alle opere del regista, ivi compresse le meno recenti. Se i colori richiamano AI e Minority Report (chiamiamolo "periodo blu", arriva fino a Munich) e le riprese molto vicine ai personaggi ricordano Schindler's List e Salvate il Soldato Ryan, i tre film a cui ho pensato di più nell'assorbire la componente emozionale del film sono stati E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo e Lo Squalo.

Per prima cosa, di questi ritroviamo la composizione familiare disgregata e il personaggio principale non perfettamente a suo agio nella sua vita, di estrazione popolare e con qualche problema di bilancio economico, con un passato non troppo esplicitato.  
In E.T. si partiva da atmosfere francamente horror che si diluivano pian piano lasciando spazio all'amicizia, all'accettazione e alla poesia. Ne La guerra dei mondi il processo si arena, e l'horror rimane. Il mondo è cambiato e Spielberg rigurgita i suoi demoni più antichi senza consolazioni. Incontri viene alla mente soprattutto per antitesi: il protagonista Ferrier è quanto di più lontano dal sognatore geek degli anni Ottanta, e la sua priorità sembra di tenere insieme quel che resta della sua famiglia più che andare a stringere la mano agli esseri venuti dallo spazio. 
Questi ultimi sono davvero inusitati nella filmografia spielberghiana, che aveva sempre dipinto gli alieni come intelligenze superiori e benevole. Qui con sgomento, e per la prima volta, siamo davanti ad invasori interessati a vampirizzarci, che sembrano averci sorvegliato per millenni fino a quando non fossimo stati pronti a divenire il loro pranzo, e che manifestano una collera inaudita e punitiva attraverso i loro efficaci Tripodi. Anche esteticamente, i mezzi di trasporto di questi "marziani" maligni sono ambigui (organici o meccanici?), aggressivi e poco delicati nel loro incedere. Sembrano più usciti da Evangelion che non dall'Uovo Fabergé che scarrozzava E.T.
In ultimo ricordavo Lo Squalo, in primis per l'incredibile suspence che il direttore riesce a creare: in questo sembra non invecchiare mai. Per le quasi due ore di film si resta ad occhi sgranati e con la tachicardia, e se si è animi sensibili un paio di incubi non saranno una sorpresa. La trovata di questa sorta di escremento del tripode, una specie di radice-albero sanguigno, prodotta dai residui degli umani "bevuti" dagli invasori, è abbastanza da tenere svegli la sera. Anche il sentimento di resistenza tipicamente americano sembra provenire dallo stesso passato remoto, con la diffidenza che comporta (il buffo "queste cose vengono da altrove? Ma da dove? dall'EUROPA?" come se l'Europa fosse luogo incredibilmente lontano e pericolosamente esotico). L'altro elemento che sembra prelevato dall'immaginario dello Squalo è il personaggio di Tim Robbins, che crea un parallelo col vecchio Quint: capace, dotato di risorse, intelligente, spinto da un astio senza pari e dal desiderio di vendetta personale, e completamente folle.

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C'è infine un topos Spielberghiano che qui brilla per la sua assenza: la figura dello scienziato saggio/buono/positivo/aperto. Tutti i suoi film ce l'hanno, sotto l'una o l'altra spoglia, da Incontri a Jurassic Park, ripassando per Lo squalo, Indiana Jones e perfino Prova a Prendermi. Qui no. Davanti ad una "banda di chissà cosa che ci attacca" non ci sono risposte e nemmeno tentativi di indagine. Dovremo lasciar fare alla natura, in una resa delle armi fedele al testo originale di Wells ma abbastanza inaspettata per chi non ha letto il libro.
Questo finale quasi troncato, semplice, mi è piaciuto molto. Ci rimembra una necessaria umiltà e ci fa ponderare la meraviglia dell'evoluzione.

Commenti

  1. bel film, tutto sommato
    il finale è tirato un po' troppo per le spicce (ma si dava per scontato che tutti sapessero dei provvidenziali microbi, capaci di annullare silenziosamente i superalieni)

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