Ghost in the shell
M.Oshii, 1995
Il film si apre con una famosa
scena d’azione in cui il maggiore Kusanagi Motoko, “coperta” solo della sua
mantella termo-ottica, si lancia da un grattacielo per sistemare con le cattive
un ambasciatore corrotto. La Sezione 9, per cui lavorano oltre a lei diversi
cyborg, è dedita all’antiterrorismo e sta cercando il Signore dei Pupazzi, un
misterioso criminale informatico che tenta di infettare i “ghost” (la
mente/anima) di alcuni politici. Quando una misteriosa creatura artificiale, ma
dotata di ghost, viene ritrovata sul ciglio di una strada, la Sezione 6 (gli affari
Esteri) offre aiuto, e la questione si complica. In questo contesto delicato,
il maggiore si interroga sulla propria natura: poche cellule umane a conservare
il ghost in una conchiglia completamente robotica sono abbastanza per definire
un’umanità di fondo?
Film geniale, richiede una
visione attenta perché la trama non è semplice e perché comprime in soli 80
minuti molti interrogativi fondamentali della condizione umana.
Dal punto di vista stilistico
penso sia il primo film di animazione per adulti a raggiungere delle vette così
elevate: a parte l’animazione in sé, decente ma sempre inferiore ad un
qualunque Disney coevo, inquadrature, luci e riprese sono davvero fenomenali.
La sequenza iniziale è da antologia, ma mi hanno colpito moltissimo anche la
traversata in traghetto del maggiore pensieroso e la chiusa. Bellissime anche
le immagini viste come attraverso una maschera da sub con i goccioloni d’acqua
sopra, al termine dell’immersione in mare.
Le musiche poi sono molto
suggestive. Personalmente le trovo bellissime, ma la loro importanza è soprattutto
nell’essere così meditative, rendendo manifesto che non stiamo guardando un
film d’azione classico, dove il fuoco del mirino è sulle sparatorie e gli
inseguimenti. Essi, seppur presenti, sono funzionali ad un racconto frammentato
da tempi di riflessione dilatati, in cui la coscienza sembra arrestarsi per
porsi quesiti sulla sua essenza (per farla breve, la risposta, di Oshii come di
Kant, è che l’essenza non è un predicato, e per inciso io sono d'accordo).
Se non fosse evidente, Matrix ci è debitore |
Quanto ai riferimenti
cinematografici, i due principali che non si possono omettere sono Blade Runner e Matrix. Dal primo Oshii raccoglie l’approccio filosofico e il
taglio pessimista, esplicitato dalla prevalenza di grigi e di blu, dalla
società noncurante priva –in apparenza, almeno- di strutture familiari
rassicuranti, oppressa da un potere statale truffaldino, povera di bellezza. Matrix è successivo a Ghost in the Shell, e quanto gli deve!
Dall’idea del criminale informatico che poi si rivela molto più franco di
coloro che lo inseguono (Burattinaio/Morpheus) a SPOILER
il finale che propone una interessante fusione FINE
SPOILER, passando da intuizioni visive ricopiate pari pari dai fratelli
Wachowsky (tra le più evidenti, i cavi di collegamento sul collo per
trasmettere informazioni, la sequenza con l’esplosione dei cocomeri, la ripresa
del finale “pieno di possibilità”).
Non si può mancare infine di cogliere la vicinanza di temi con l'anime sci-fi per eccellenza degli anni Novanta, Evangelion, e in particolare il parallelismo tra i due maggiori, Kusanagi Motoko e Katsuragi Misato, la prima che dubita della sua umanità e la seconda umana, troppo umana; una umbratile e ultra-efficace, l'altra pasticciona e solare: Motoko, al contrario di Misato, in un'espressione di fanservice, mostra le sue grazie con ostentata libertà e noncuranza ma senza alcuna gioia, perché il suo corpo è solo parzialmente accettato come suo, umano e reale. Un pezzo di ricambio, da usare come un'arma, senza trasporto.
Una pietra miliare che non si
può mancare, ma che potrebbe sorprendere per il ritmo molto atipico, fatto di
alternarsi tra nodi sincopati dove si convogliano azione frenetica e scambio di
nozioni e dilatazioni temporali spesso silenziose e meditabonde.
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