Fargo

Nel North Dakota c'è un paesetto sperso nelle nevi che si chiama così. E' pieno di gente apparentemente normale, un posto ideale per raccontare la banalità del male, per esempio con un marito che per recuperare qualche lira assolda due sbandati per rapire sua moglie e riscuotere, sotto forma di riscatto, i soldi del suocero.
Ovviamente tutto quello che può andare storto lo fa, e il conto dei cadaveri aumenta col volgere dei minuti.
I film dei fratelli Coen sono sempre molto amati dalla critica e devo dire che in questo caso sono abbastanza d'accordo con i commenti favorevoli. C'è un grande umorismo nel taglio caustico con cui viene trattata la vicenda, degna di un romanzo-verità alla truman Capote. Ma poi si trova anche il modo di inserire una normalità vera, fatta di gente intelligente, che lavora, con aspirrazioni più pure e semplici ma così nobili che non si può non provare tenerezza per loro. A veicolare questo secondo filone di emozioni è Marge (F. McDormand, Oscar per questo film e moglie di Joel Coen), la poliziotta incaricata delle indagini, al settimo mese di gravidanza, che si trascina il suo pancione dietro al fiume di sangue lasciato dai rapitori, Buscemi e Stormare, imperterrita davanti a cadaveri e piedi che sbucano da trituratori e sempre con in mano un articolo di vario junk food. La palma di superverme va sicuramente al marito (W. Macy), un viscido pronto a tutto.
Non credo che lo rivedrò a breve, perché c'è qualcosa di pesante in questo racconto un po' desolato: soprattutto l'inutilità, la stupidità e la nauseante idiozia della malvagità che ci circonda, per cui una vita umana vale meno di qualche biglietto verde.
Belle musiche, molto integrate nel paesaggio freddo, dipinto con colori polverosi densi di bianchi e gialli.

Sì, quello che vedete sbucate dal tritatutto è proprio un piede.
la roba rossa che esce perpendicolarmente è... fertilizzante, ormai.

Commenti

  1. Non sarei così definitivo sul carattere del marito della vittima. Più che malvagio, è uno sciocco che non si rende conto, finché non è ormai troppo tardi, dell'enormità che sta commettendo. E penso che sia proprio quello uno dei temi ricorrenti dei Coen, come noi umani siamo (almeno parzialmente) dominati da una vena di idiozia che, se non stiamo attenti, ci porta immancabilmente alla catastrofe.
    Luci, colori, e colonna sonora (del solito Carter Burwell) sono davvero degni di menzione.

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