50/50

Adam fa il tecnico in radio, va a correre la mattina, ha una fidanzata, un amico sbruffone, una madre apprensiva, un padre demente. Una vita normale. 
Poi gli viene mal di schiena. E' un cancro, un neurosarcoma-schwannoma. E la sua vita normale va a farsi benedire. Ha il 50% di possibilità di sopravvivenza a lungo termine senza diffusione metastatica, ma anche il 50% di possibilità di morire. 
Adam attraversa davanti ai nostri occhi tutte le fasi dell'elaborazione del lutto, l'impossibile lutto di sé, dall'incredulità tranquilla, alla rabbia, alla disperazione, alla paura, alla rassegnazione. Insieme alla tirocinante psicologa affronta i momenti delicati del rapporto con i familiari, con i "colleghi" pazienti e con gli amici, ci mostra l'ambivalenza del paziente che non vuole essere trattato "da malato" ma non tollera che si scordi o si ignori la patologia di cui è affetto, e allo stesso tempo si incarica di rassicurare genitori e amici sulle sue buone condizioni psicologiche. E con grande coraggio di sceneggiatura J. Levine ci tratteggia anche le reazioni umane, troppo umane degli "altri": la mamma forse invadente ma disponibile sempre, con disperazione; l'amico pasticcione e dinoccolato che, sotto sotto, ti vuole così bene che non potrebbe dirtelo a parole e non ti abbandona mai; la psicologa alle prime armi spaventata dall'enormità del suo ruolo e dal mestiere difficile e senza rete che si è scelta; la fidanzata infedele che non lo accompagna a fare la chemio "perché l'ospedale contiene energie negative" e lo tradisce perché "non sai quanto è stato difficile per lei".
A questo proposito vorrei aggiungere che NESSUNO ama gli ospedali (almeno in quanto luoghi pieni di gente malata) e a NESSUNO fa piacere vedere un'infusione di chemioterapici. Però se non si può tollerare questa vista quando il protagonista del quadro è il tuo fidanzato, forse è meglio non raccontare troppe balle: l'amore questa vista la tollera, eccome. Ha risorse impensabili, l'amore. 


Per tornare al film, non mi capacito che una pellicola così vera, ben sceneggiata, ben diretta e ottimamente recitata (J. Gordon-Lewitt, A. Kendrick, S. Rogen, B.D. Howard e A. Houston) vada in onda su MTV e non su Rai1 o Canale5. Già dopo i titoli di testa con la presentazione degli attori (strepitosi) e la partenza sonora sono conquistata. Ormai le reti principali non sono più un paese per cinefili... bisogna rivolgersi a quelle più commerciali per godersi un film indipendente che sembra scritto col trattato di psicooncologia in mano. Sorprendentemente reale, leggero (nel senso migliore) e intelligente.

Commenti

  1. Mi stupirebbe se passasse sui canali televisivi principali in prima serata, visto che al cinema non ha incassato praticamente niente.

    E dunque non darei tanto la colpa a chi determina i palinsesti quanto alla mentalità comune che ad un film che parla della possibilità di morire fa reagire con gesti scaramantici e col cambio di sala o di canale.

    Piaciuto anche a me, a parte il finale che m'è parso troppo dolciastro.

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  2. Non pensavo che avesse avuto così poco successo... è vero che il finale è troppo buonista, e (non volevo SPOILERARE, ma già che ci siamo...) la scelta di far mettere insieme il protagonista è la psicologa è quanto di più anti-deontologico ci sia. Però, tutto sommato, mi sembra che ci possa stare col taglio scanzonato e anomalo del tutto. Se invece vuoi vedere qualcosa di più diretto sulle fasi propriamente terminali -nel senso che siamo dall'altra parte del 50%, c'è Wit, che è bellissimo.

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