The dark side of the moon

Un paio di anni fa l'opera omnia dei Pink Floyd è stata rimasterizzata e, dopo aver letteralmente consumato i loro album su lettori CD e autoradio vari, ho deciso di riprenderli per riascoltarli col lifting.
Per catturare un po' di pubblico in più, suppongo, la recente ristampa che acquisto nella fortunata edicola davanti all'entrata della Neuro comincia con The Dark Side of the Moon, l'ottavo lavoro; l'operazione sfacciata di marketing sfrutta anche un altro classico delle vendite, l'odiatissimo cofanetto omaggio. Ma se ogni CD ha la sua custodia, come è normale, perché mai dovrebbe servirmi il cofanetto omaggio? Per ricordarmi colpevolmente delle uscite che non ho comprato? Comunque io lo uso per tenere nell'armadietto dei biglietti da non sgualcire. Utilissimo.
Per parlare di cose serie, The Dark Side of the Moon è bellissimo. Non è il mio preferito dei PF, ma è comunque superbo.
Per prima cosa è un concept album, struttura da noi praticamente sconosciuta (l'unico che negli anni Settanta lo propose è stato Baglioni, credo, con Questo piccolo grande amore) a me particolarmente cara e di stampo profondamente operistico. Inoltre parla con immenso acume della paura del passare del tempo e della follia, dell'avarizia in cui traduciamo queste paure e della morte. Mai si è sentita una canzone sulla morte sconvolgentemente limpida e rivoluzionaria come The great gig in the sky, con la voce perforante e terribile di Clare Torry.
Il battito cardiaco dell'uomo angosciato e solo che apre e chiude l'opera ritorna nel tracciato elettrocardiografico verde disegnato sull'interno della copertina e il pensiero va sempre verso la malattia mentale che privò i Pink Floyd di Syd Barrett.

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