Il Gattopardo



Il Principe di Salina comincia a sentire il peso degli anni: le sue terre sembrano non appartenergli più, così sconosciute –molto meglio le conosce e le sfrutta il suo amministratore Don Calogero-, il vecchio re Ferdinando è sostituito, per tramite garibaldino, dal nuovo re Vittorio Emanuele II, le nuove generazioni così piene di fascino e di prorompente vitalità sono distanti e irraggiungibili. Eppure, egli è ancora un meraviglioso leone, o meglio un Gattopardo, e sa bene l’immobilismo che affligge la sua Sicilia e tutt’Italia. Ci adatteremo ad ogni nuova struttura, perché sotto il grande cambiamento superficiale nulla cambi in realtà.
Si distinguono perciò due grandi drammi in quest’opera superba, dipinta da Tomasi di Lampedusa con sguardo cristallino e profondissimo gusto linguistico.
C’è la tragedia privata di Don Fabrizio, il Principone, arreso e ammaliato di fronte al nuovo che avanza, questa borghesia onnipresente e onnipotente che si insinua ormai, con la forza del denaro e del potere politico, in ogni anfratto prima roccaforte dell’aristocrazia più sonnolenta. Don Calogero Sedara, incolto e rozzo, ma candidato a rappresentare la Sicilia nel nuovo Parlamento, e sua figlia Angelica, bellissima e molto ricca, vorace e sanguigna, che senza difficoltà attrae a sé il titolo –unica sua dote- di Tancredi, l’erede spirituale del Principe, e profana con la sua avvenenza sconsiderata le antiche stanze di palazzi nobiliari mai aperti prima agli guardi dei popolani.
C’è il dramma pubblico di un’Italia unita solo in superficie, incapace di affrontare un cambiamento radicale e di slegarsi da tanti retaggi inutili, che trova il progresso più nella cancellazione di aviti splendori che non in un rinnovamento pieno di salute. D’altra parte, è il paese dell’accomodamento e dell’accordo -privato.
Visconti ha trasformato, con la sua perizia, uno dei più grandi romanzi del Novecento in uno dei più bei film del Novecento, pieno di bellezza e di eleganza: i grandi palazzi siciliani, i vestiti, i volti scolpiti, i paesaggi diventano imponenti affreschi di un mondo decadentissimo, in placida attesa di una rovina sotterranea, trasfigurati da una luce d’oro chiaro. Delle luci e delle riprese così si vedono solo in pochi altri capolavori formali, come Barry Lyndon. Anche le musiche mettono in rilievo lo splendore sopito, irriso poiché datato, del mondo di Don Fabrizio, come le arie d’opera verdiane rilette da bande di paese e trasformate in marcette da processione. Alain Delon, Claudia Cardinale e Burt Lancaster completano il capolavoro, dando vita al triangolo dei Salina, animato da quel sospetto di sensualità che non lascia mai la scena ogni volta che Angelica vi si aggira, di bianco vestita.

Commenti

  1. indimenticabile
    a suo tempo mi sono chiesto se valesse più il romanzo o il film (alla fine ho scritto X)
    le scene del ballo basterebbero da sole a consacrare Visconti come il più raffinato dei registi italiani

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