The Guernsey literary and potato peel pie society

Il romanzo epistolare sembrava un genere destinato all’estinzione e l’ultimo che avevo trovato davvero divertente data 1782; si chiama Le Relazioni Pericolose, e si giova di una pletora di protagonisti interessanti e cattivissimi. Non prendo neanche in considerazione i due capisaldi ufficiali del genere, l’Ortis e il Werther, che mi hanno tormentata negli anni del liceo e che sfido chiunque a definire anche lontanamente coinvolgenti.
Con una certa sorpresa, perciò, mi sono accorta dopo poche pagine che questo romanzo mi aveva conquistata con la sua ironia.
Juliet è una scrittrice che durante la Seconda Guerra Mondiale ha contribuito a mantenere alto il morale della sua Nazione, l’Inghilterra, con i suoi editoriali umoristici. Ora che il nemico è vinto, e poco a poco le persone si riappacificano con la vita quotidiana, si ha tempo per gioire della pace futura ma anche per guardarsi intorno e scoprire, sotto i cumuli di macerie, che anche il vincitore è pur sempre sconfitto. Nel mentre di queste considerazioni, la nostra protagonista è raggiunta da una lettera di un membro della società letteraria di Guernsey, una piccola isola della Manica che ha subito l’Occupazione Nazista, recentemente finita: è Dawsey, allevatore di maiali appassionato di C. Lamb, che desidera ampliare la sua biblioteca e ci svela l’esistenza di un club sorto per occultare una lauta cena e proseguito per la necessità di trovare un angolo di bellezza anche sotto un cielo cupo come non si era mai visto in quella piccola terra. Centro delle vicende isolane è stata Elizabeth, ora smarrita nell’Europa continentale, preda della follia germanica: Juliet non può che farsi conquistare da questa resistenza silenziosa ma salda e dai suoi protagonisti, la dolce Amelia e la freak Isola, il serio Eben e l’ubriacone John, e ben presto li raggiunge.
Pieno di riferimenti letterari più e meno alti, questa lunga corrispondenza riesce ad essere nella sua prima parte davvero gradevole e commovente, descrivendo con accenti non patetici le costrizioni grandi e piccole che ogni violenza esercita sull’animo umano. Nella seconda metà si nota purtroppo la mano di una scrittrice meno raffinata, quella Barrows -nipote della Shaffer prima autrice- che ha impedito all’opera di restare incompiuta dopo la prematura scomparsa della zia. L’influenza di J. Austen è evidente dal piglio umoristico e da qualche dettaglio, come i nomi di Elizabeth, centro vitale del libro, e della sua timida amica Jane, evidente omaggio alle sorelle Bennet. Non vi sembra poi che Dawsey e Darcy condividano una certa assonanza? Assolutamente consigliato per una lettura prenatalizia.
Con una certa sorpresa, perciò, mi sono accorta dopo poche pagine che questo romanzo mi aveva conquistata con la sua ironia.
Juliet è una scrittrice che durante la Seconda Guerra Mondiale ha contribuito a mantenere alto il morale della sua Nazione, l’Inghilterra, con i suoi editoriali umoristici. Ora che il nemico è vinto, e poco a poco le persone si riappacificano con la vita quotidiana, si ha tempo per gioire della pace futura ma anche per guardarsi intorno e scoprire, sotto i cumuli di macerie, che anche il vincitore è pur sempre sconfitto. Nel mentre di queste considerazioni, la nostra protagonista è raggiunta da una lettera di un membro della società letteraria di Guernsey, una piccola isola della Manica che ha subito l’Occupazione Nazista, recentemente finita: è Dawsey, allevatore di maiali appassionato di C. Lamb, che desidera ampliare la sua biblioteca e ci svela l’esistenza di un club sorto per occultare una lauta cena e proseguito per la necessità di trovare un angolo di bellezza anche sotto un cielo cupo come non si era mai visto in quella piccola terra. Centro delle vicende isolane è stata Elizabeth, ora smarrita nell’Europa continentale, preda della follia germanica: Juliet non può che farsi conquistare da questa resistenza silenziosa ma salda e dai suoi protagonisti, la dolce Amelia e la freak Isola, il serio Eben e l’ubriacone John, e ben presto li raggiunge.
Pieno di riferimenti letterari più e meno alti, questa lunga corrispondenza riesce ad essere nella sua prima parte davvero gradevole e commovente, descrivendo con accenti non patetici le costrizioni grandi e piccole che ogni violenza esercita sull’animo umano. Nella seconda metà si nota purtroppo la mano di una scrittrice meno raffinata, quella Barrows -nipote della Shaffer prima autrice- che ha impedito all’opera di restare incompiuta dopo la prematura scomparsa della zia. L’influenza di J. Austen è evidente dal piglio umoristico e da qualche dettaglio, come i nomi di Elizabeth, centro vitale del libro, e della sua timida amica Jane, evidente omaggio alle sorelle Bennet. Non vi sembra poi che Dawsey e Darcy condividano una certa assonanza? Assolutamente consigliato per una lettura prenatalizia.
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