E,T.
California, inizio anni
Ottanta. Una navicella arrivata dallo spazio profondo per studiare i nostri
vegetali, ripartendo verso casa lascia indietro uno dei suoi, che cerca di
scappare dai militari terrestri e finisce in casa di un ragazzino, Elliot. A lui
e ai suoi due fratelli spetta aiutarlo a tornare a casa.
Continua con questo film una
visione particolare, intima e sognante, della fantascienza, che il regista
aveva già iniziato con Incontri ravvicinati del terzo tipo. Ancora di più qui
il fuoco della sceneggiatura è fissato sull’apertura al diverso e sull’amicizia,
esplorate in quell’età tardo infantile che, ancora satura d’innocenza, è più
pronta e disponibile. Anche in questo caso molti sono i tratti autobiografici,
dal divorzio recente che divise i genitori del piccolo Steven all’alieno
immaginario che gli fece compagnia in questo frangente. Nell’infanzia e nel
sogno raggiungiamo il massimo grado di libertà, che impieghiamo tutto il resto
della vita a raggiungere nuovamente: la scena delle rane che saltellano per
tutta la classe è incredibilmente vitale e liberatoria, oltre che esteticamente
bella. Tra Elliot e E.T. si instaura una dolce “corrispondenza di sensi” che ha
sì qualcosa di inspiegabile, ma anche molto quotidiano. È la vera empatia che
si crea tra due amici, di qualunque razza e cultura. Invece gli adulti sono sbiaditi, tra professori impotenti, scienziati intelligenti ma poco incisivi e la mamma, incredibilmente assente, distratta dalle sue cure quotidiane, con tre figli e abbandonata dal marito (non si accorge nemmeno di E.T. nonostante la piccola Drew Barrimore glielo presenti formalmente accanto al frigorifero).
C’è inoltre un grandissimo
amore per il cinema, il mezzo visivo che ha aumentato di una dimensione il
nostro vivere quotidiano: alcune trovate sono spettacolari, come il bacio del
protagonista ad una compagna, mentre è “attraversato” dallo spirito di John
Wayne. Autocitazioni sono sparse un po’ in giro, così come vari omaggi alla
saga di Guerre Stellari del collega e amico Lucas. J.William prosegue la
collaborazione lunga una vita con Spielberg, e ogni volta era un nuovo centro.
Nei temi di E.T. c’è già in nuce anche la melodia che venticinque anni dopo
riutilizzò per la colonna sonora di Harry Potter.
Infine non si può non parlare
di E.T. stesso, l’adorabile extraterrestre dagli occhioni iperespressivi,
dotato di gran sense of humour e da un sentire raffinato, dove la nostalgia di
casa si fonde con la malinconia per l’addio che si profilerebbe se mai
riuscisse a ritornare sul suo pianeta. Tutta questa gamma di emozioni sottili in
un esserino adorabilmente brutto, completo di collo telescopico, che nelle
intenzioni dell’autore doveva somigliare ad una tartaruga ma senza il guscio.
Io trovo bellissima anche la sua nave spaziale, che mio marito mi dice essere
stata disegnata da Ralph McQuarry (che peraltro aveva già disegnato quella
bellissima e imponente di Incontri Ravvicinati), mentre a me ricorda tanto un
uovo Fabergé.
Che dire, non solo io l’ho
adorato, ma non ho mai conosciuto nessuno cui non sia piaciuto.
hai detto bene
RispondiEliminaET (il pupazzo) è adorabilmente brutto; il messaggio profondo è che anche i brutti (quelli che non rispettano gli stereotipi della moda) possono essere amati
infelici i bambini che non l'hanno visto (ma sono sempre in tempo...)
No, non infelici: ancora una meraviglia li attende sul loro cammino :)
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