Polina
Di B.Vivés, 2011
La Polina del titolo, ispirata all'artista russa Polina Semionova, entra bambina in Acaademia di danza in Russia, diventa allieva prediletta del Maestro Bojisnky, i cui modi rudi e l'eleganza austera hanno scoraggiato ben più di una ballerina. Scelta per un suo assolo, metà discente e metà musa, lascia tutto per esplorare altri mondi, fuori patria, perdere molte delle sue certezze, ritrovarsi e iniziare a costruire davvero se stessa, fino a riprendere, accettandoli, i legami col suo passato.
Conoscevo dunque il tratto disgregato e destrutturato del disegnatore, ma in Polina è ancora più acerbo di quel che mi aspettassi (sono passati dieci anni, Vivès era ventisettenne) e i suoi personaggi si stagliano su sfondi meno che abbozzati. Il loro pensiero è il loro sfondo, una specie di flusso di coscienza non esplicitato riempe questi vuoti di bianchi, neri e grigi con un'insolita intensità. Il giovane autore riesce, a mio avviso, nell'arduo compito di suggerire con precisione movimento, leggerezza, fluidità, profondità di pensiero e di sentimenti, relazioni umane complesse amorose e non, rapporti di sudditanza tra docente e discente e gratitudine per l'arte e per la vita: lo fa con un'arte statica, sintetica o ancora meglio ellittica, silenziosa come solo Mitsuru Adachi avrebbe saputo. Vivès conosce il segreto dei tempi apparentemente morti del fumetto come nessun altro occidentale che conosco. Bravo, ad majora.
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