Philadelphia



Di J.Demme, con T.Hanks, D.Washington. 1993

Andrew Beckett è un avvocato brillante impiegato presso uno studio prestigioso, improvvisamente licenziato dai soci anziani per presunta inaffidabilità: in realtà, perché hanno scoperto da una sua lesione cutanea che è malato di AIDS ed omosessuale. 

Primo grande film ad aver affrontato il tema della duplice discriminazione dei gay e dei malati di AIDS, pur con tutti i suoi limiti rimane un gran film con cui il tempo è stato clemente.

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Nota di merito al cattivo, che è davvero detestabile
Grazie ai due attori principali, bravissimi (con una mia particolare preferenza per Denzel Washington), non si può fare a meno di affezionarsi rapidamente ai personaggi, cosi' limpidi e fiduciosi nel sistema. E il sistema, sorprendentemente, risponde dimostrandosi all'altezza, rivelando il profondo amore dell'industri cinematografica e del pubblico dell'epoca per il genere processuale e per il trionfo della giustizia. Mi sorge il sospetto che oggi un film del genere mostrerebbe più ombre, e sono tanto contenta di non averle viste ieri sera mentre Philadelphia ripassava per la cinquecentesima volta.

Un po' come in "Indovina chi viene a cena?", altra pietra miliare del genere groundbreaking (ovvero: affrontiamo un tema spinoso in un blockbuster per la prima volta), ci sono degli aspetti di buonismo poco credibili, ma chiaramente necessari per raggiungere il grande pubblico dell'epoca, ma che oggi rappresentano più che altro dei limiti. Per esempio, l'incredibile fronte coeso e supportivo della famiglia di Andrew, dagli anziani genitori ai quattro fratelli/sorelle e i loro compagni, per i quali la vita paraconiugale del protagonista col suo compagno gay e di origine latina (Banderas, si chiama Miguel) è assolutamente normale, difendibile, giusta. Fanno a gara a mettergli in braccio i nipotini e a sostenerlo in ogni sua decisione. Bellissimo, si', sacrosanto con la mentalità di oggi, certo, ma credibile ventitré anni fa? Il livello soprattutto culturale ma anche sociale della famiglia in questione aiuta non poco, ma rende il protagonista ancora meno calato nella realtà dell'epoca. Credo che le discriminazioni più feroci non toccassero agli azzimatissimi rampolli dell'intelligentia WASP, e che il malato di AIDS gay medio del 1993 avesse dei connotati vagamente differenti.

Resta comunque inalterato il valore emotivo del dramma, che sa toccare tutte le corde giuste per forzare la lacrimuccia senza mai essere grottesco o scadere nel kitsch, persino quando scomoda la signora Callas che canta l'aria della Mamma Morta dell'Andrea Chénier. La colonna sonora rimane strepitosa, con ben due tracce candidate separatamente agli oscar, vinto poi da Streets of Philadelphia di Springsteen, in apertura. L'altra statuetta dorata fu aggiudicata dal giovanissimo Tom Hanks, che -pur bravissimo- resta secondo me inferiore a Washington, che dà corpo al personaggio più tridimensionale. Il suo Joe Miller è patriottico e buono e giusto e onesto come trama comanda, ma non è scevro da pregiudizi, da umani timori e dubbi.

Commenti

  1. Concordo, il film non ha perso un grammo della sua intensità, poi da Springsteeniano so di essere di parte, ma si guarda (e si ascolta) sempre volentieri ;-) Cheers

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  2. Sai che non lo vedo da tantissimi anni? Praticamente dalla prima volta che lo hanno dato in TV, forse perché era un argomento per me troppo difficile all'epoca e non ho più avuto il coraggio di ri-affrontarlo. Prima o poi mi ci metterò!!!

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    1. Anche io non avevo tanta voglia, mi ricordavo una roba pesante (e invece no, solo che l'avevo visto che avevo circa 13 anni e certo l'impatto era diverso). Qui in Francia lo passano spessissimo e ci sono capitata quzsi per caso, e merita davvero!

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