Giorno XIV: quel finale che proprio non hai mandato giù
I finali tristo-cool. Procedo a spiegare.
ATTENZIONE SPOILER SPOILERISSIMI (évidemment, con un titolo cosi')
I finali tristi possono essere nobilmente tristi, esoticamente tristi e spaccone-tristi (o tristo-cool).
Al primo gruppo afferiscono le opere di vera letteratura con una fine malinconica o negativa: da Anna Karenina, al Signore degli Anelli, a Pochaontas, a Colazione da Tyffany, a Léon e C'era una volta in America, ci sono centinaia di film-libri-fumetti capolavori che conducono il lettore per mano verso un'inevitabile chiusa in accordo con l'enunciato di base. Anna è una fedifraga che perde la sua scommessa con la Vita, Frodo è stato contaminato dall'anello, Holly non potrà mai rassegnarsi ad un "padrone". Léon è uno spietato killer analfabeta.
La loro morte, sconfitta, solitudine, perfino perdizione, è la naturale conseguenza del racconto.
Il secondo gruppo ha naturalmente plurimi punti di congiunzione col primo, nel senso di essere la conclusione più o meno attesa di un processo già in atto, ma sviscerata secondo una sensibilità lontana dalla nostra. Ci mettiamo per esempio i lavori della Ikeda (a parte Lady Oscar, che è storicamente prevedibile, poniamo il caso di Caro Fratello...), delle CLAMP -perché no-, e le fiabe russe e nordiche col loro finale triste (Rusalka, La Sirenetta, parliamone!). In questi casi spesso la tragedia conclusiova bagna in una luce estetizzante più che moralistica, come fosse il compimento di un esercizio di stile particolare.
Per scrivere un bel finale triste bisogna essere degli scrittori di primo livello. Quindi, se non vi chiamate Mc Ewan, Franzen o anche Pullman (e perché no, Flaubert e Capote), pregasi astenersi.
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