I Quattrocento colpi
Di F.Truffaut, con JP.Léaud,
A.Rémy, C.Maurier. 1959
Primo film di Truffaut, ha per
protagonista il giovane Antoine Doinel che vediamo qui nella sua tarda infanzia
(seguiranno altri lungometraggi in cui ne osserveremo le gesta di gioventù, il
matrimonio, la maturità).
Antoine è un bambino turbolento,
ma in fondo non cattivo. La sua situazione familiare lo mette però in uno stato
emotivo difficile; in particolare, dopo aver visto la mamma, con cui ha già un
rapporto molto conflittuale, baciare un uomo che non è il patrigno –il padre è
sconosciuto- il bambino passa da una marachella ad un pastrocchio, dal
pastrocchio al furtarello, dal furtarello al riformatorio.
Truffaut esamina, col suo
sguardo clinico e già piuttosto freddo, le radici di un malessere personale che
a volte si traduce in problema sociale, in questo caso osservando un ragazzino
allegro e lievemente dispettoso che da incompreso diviene una mina vagante in
una società che non ha fatto abbastanza per accoglierlo. Il rapporto con la
madre, conflittuale e centrale nella dinamica degli eventi, vede una figura
parentale manipolatrice e poco affettiva, che approfitta consapevolmente e in
ogni modo del suo potere per guadagnare il silenzio del figlio, arrivando a
privarlo della libertà. La figura profondamente castrante della donna è però
mitigata, con un gran colpo di genio, dal suo estremo sarcasmo che la rende,
nostro malgrado, piuttosto simpatica nella sua cattiveria.
Come ulteriore critica sociale,
che oggi sembra ingenua ma nel ’59 doveva essere tutt’altro che scontata,
veniamo a sapere che questa madre poco amante avrebbe voluto abortire, ma è
stata costretta a tenere il bambino contro il suo volere, con i risultati
brillanti che sono poi sotto gli occhi di tutti. A parte il coevo Gioventù
bruciata, dovremo aspettare Sofia Coppola per avere di nuovo una trattazione
altrettanto raffinata dei dilemmi, della costrizione e della violenza trattenuta
della preadolescenza.
Dal punto di vista stilistico
il film è stato uno degli iniziatori della Nouvelle Vague: luci naturali,
colonna sonora schiva, uso intensivo della camera a mano (ma con
criterio, non fa venire la nausea), atteggiamento asettico verso le emozioni,
fotografia e riprese a metà tra il neorealismo di Rossellini e Bergman. È anche
pieno di invenzioni e spunti registici, come l’interrogatorio di Antoine con la
psicologa, in cui quest’ultima non viene mai inquadrata e l’attenzione è
forzata su ciò che è veramente importante, ovvero il piccolo protagonista e gli
argomenti spinosi che affronta con la crudezza e l’insight dei suoi tredici
anni.
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