Chiedi alla polvere
1939, J.Fante.
Arturo Bandini è un aspirante
scrittore italoamericano in preda ad un lieve blocco creativo, povero in canna
e innamorato di una donna di origine messicana cui non riesce ad esprimere i
propri sentimenti. L’indigenza infine gli giova, perché la fame gli farà
trovare un nuovo filone di scrittura, ma l’amore è meno facile da maneggiare e
la sua principessa Maya gli sfugge, persa in un sogno irraggiungibile nei
deserti della Valle della Morte.
La polvere della strada, sempre
immobile in una Los Angeles desolata e sconvolta da scosse telluriche, è
l’unica testimone residua delle disavventure di un protagonista ingenuo, cui
non si può non voler bene.
Nato nel ’39, il libro è forse
il più famoso pre-beat generation, in cui piuttosto che i temi del viaggio/fuga,
della fruizione forsennata del presente e della nostalgia delle origini, è preminente il DESIDERIO (frustrato) del viaggio/fuga, DESIDERIO (frustrato) del
godimento del presente, per retaggio culturale e religioso, e rinnegamento
feroce delle origini, che nasconde un immenso DESIDERIO di identificazione
nella terra senza origine per eccellenza, l’America degli Stati Uniti.
Per quanto possa apparire
statico, il romanzo mantiene dopo tanti anni una grande forza espressiva e, pur
impegnativo, non si rende indigesto, grazie al protagonista acerbo e all’ottimo
stile di scrittura, piano ma mai scontato. La brevità è un altro grande pregio
dell’autore, che si astiene dallo sbrodolare inutilmente, e ho molto
empatizzato con la tensione di Arturo verso l’autoaffermazione artistica.
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