I gatti persiani

Usciti di prigione, una ragazza (Negar) e un ragazzo (Ashkan) vogliono fondare un gruppo musicale e andare ad esibirsi a Londra e a Nizza. Il problema è aggirare tutti gli ostacoli, piccoli e grandi, che lo stato pone di fronte a loro: visti, autorizzazioni per l'organico del gruppo, concessione di canto solista per Negar, imprimatur ai testi e costosissimi passaporti fasulli -ché quelli originali sono praticamene impossibili da ottenere.
Le restrizioni si fanno sempre più pesanti, mentre i ragazzi cercano di completare il gruppo e ci portano a visitare i luoghi della musica di Theran, dal rock al pop al rap. Purtroppo il docu-film ha un finale cupo e non del tutto comprensibile (almeno a me, se invece voi avete lumi da offire, fatevi avanti).
Mi aspettavo un polpettone pesantissimo, e invece mi è piaciuto molto per i suoi dialoghi frizzanti, lo stile asciutto e poco compiaciuto e soprattutto per la musica, assoluta protagonista, di ottima qualità. 
Bisogna dire inoltre che ci è voluto un gran coraggio per girare in clandestinità una pellicola così, senza mancare di sottolineare tutte le limitazioni alla libertà personale che in tante parti del Medio Oriente ancora affliggono i privati cittadini. Il regista Ghobadi ha rischiato molto, e sua moglie (e cosceneggiatrice) assai di più, restando rinchiusa in carcere fino alla presentazione della pellicola a Cannes. Per fortuna, il clamore internazionale della loro opera ha sufficientemente intimorito il regime, che ha rilasciato la signora prima della premiazione: i coniugi si sono assicurati Un Certain Regard, ma non si può dire che l'abbiano "portato a casa"... l'autoesilio è stato l'alto prezzo da pagare per difendere la propria opinione ed espressione.

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